LO  PSICOLOGO  DI  FAMIGLIA


Nell’ormai lontano 1979 Nicholas Cumming esprimeva l’idea che nelle società avanzate, così piene di problematiche esistenziali, sarebbe stato necessario istituire oltre al medico di famiglia, lo psicologo di famiglia. Questi dovrebbe aiutare gli individui e le famiglie a risolvere quelle frequenti situazioni di impasse esistenziale dovute non a questioni di malattia organica, ma alle difficoltà naturali che nascono nel corso della vita, laddove i farmaci, ovviamente, non possono agire.
 
Il modello della terapia breve intermittente, condotta e studiata da oltre trent’anni, soddisferebbe queste esigenze. Secondo quest’ottica non c’è bisogno di rimanere in terapia alla ricerca della suprema “cura” di tutte le ansie. La terapia breve viene concepita come un susseguirsi di episodi brevi ed intermittenti finalizzati al superamento delle ricorrenti crisi attraverso la vita. Dopo un primo breve ma efficace trattamento, ogni seguente inghippo richiede poche sedute strategiche, indipendentemente dalla severità del problema, permettendo al cliente di ritornare rapidamente alla sua normale vita quotidiana. 
 
I disagi e i problemi esistenziali possono essere considerati come prodotti umani, e quindi costruzioni che hanno a che fare con gli aspetti della vita sociale, come il ciclo vitale della famiglia con le sue tappe scandite dalle unioni e dalle separazioni, dalle nascite, dalle morti, dalle vicende che caratterizzano la storia della famiglia, come in una continua ricerca, a volte drammatica, di un equilibrio tra due tendenze. Da una parte vi è la necessità di mantenere l’identità personale all’interno dell’identità della coppia e della famiglia, attraverso la stabilità; dall’altra parte vi è la necessità di cambiare in rapporto alla crescita e alla maturazione, e quindi il bisogno di individuarsi, di liberarsi da relazioni simbiotiche e confusive, dove la reciproca attribuzione di ruoli è irreale, e quindi rigida e illusoria. 
 
L’obiettivo delle terapie brevi  è la risoluzione del problema di cui il cliente si lamenta. Le procedure del trattamento ed i suoi obiettivi sono quindi strettamente collegati. Il principale centro di attenzione per tutto il corso del trattamento rimane ciò di cui il cliente è venuto a lamentarsi: un problema di cui vuole sbarazzarsi.
 
La maggior parte degli psicoterapeuti tradizionali sono stati addestrati secondo un modello che prevede la prima seduta come diagnostica, e quindi dedicano la prima seduta o addirittura  le  prime sedute alla raccolta delle informazioni e della storia, alla conduzione di esami e test mentali, allo scopo di individuare la malattia da “curare”. Sfortunatamente, spesso questo significa focalizzarsi solo sulla formulazione di una diagnosi, occupandosi del passato, ricercando una varietà di informazioni, e mancare di esplorare aree più immediate, andando spesso in direzione opposta al problema del qui ed ora, presentato dal cliente, e proponendo infine una lunga ed onerosa “cura” psicologizzante.
 
Nel modello di terapia breve intermittente invece, il problema viene preso seriamente in considerazione e una volta risolto, il trattamento viene interrotto. Non viene invece interrotta la relazione, perché in questo modello lo psicologo si comporta come il medico di famiglia. Infatti, una volta superata l’influenza il trattamento viene interrotto, ma non la relazione con il medico, che verrà consultato in un’altra situazione patologica. Ciò non significa che il paziente non si ammalerà mai più, e tanto meno che non ri-avrà l’influenza.
 
Questa modalità operativa è molto più gratificante sia per il paziente che per l’operatore. Non si tratta di condensare 20 o 100 sedute in una, ma piuttosto di utilizzare più efficacemente il materiale disponibile per renderlo una esperienza terapeutica positiva e costruttiva. Attraverso interventi focalizzati e strategicamente centrati il terapeuta aiuta a mobilitare le potenzialità latenti dell’individuo, che una situazione impossibile potrebbe aver ingabbiato. Il soggetto acquista così attraverso gli anni maggiori capacità esistenziali, riducendo via via i disturbi, e gli individui imparano ad evitare di cadere nelle trappole disfunzionali.
 
Questo tipo di approccio permette inoltre di infrangere i falsi preconcetti verso l’aiuto psicologico. La gente impara ad utilizzare lo psicologo come una opzione pratica ed utile nei momenti problematici, sapendo di non incorrere in pericolose “psico-dipendenze”. 
 
Tutto questo permette infine di effettuare contemporaneamente anche una notevole azione di prevenzione, avendo la possibilità di intravedere per tempo i potenziali pericoli. Il pronto intervento permette di ridurre le disfunzioni ed i disturbi relazionali, migliorare e aumentare le competenze interpersonali ed alleviare le sofferenze del soggetto nel più breve tempo possibile, rispettando così nel contempo anche il diritto fondamentale dell’utente. 
 
Non c’è dubbio però che la prevenzione ha i suoi nemici, sia in campo istituzionale che individuale, soprattutto presenti nelle forme di resistenza all’innovazione, al cambiamento, al progresso, tanto a livello ideologico che a livello pratico, forse per paura di d o v e r  vivere una vita soddisfacente, costruttiva e serena

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Bibliografia
N.A. Cummings, Brief intermittent psychotherapy throughout the life cycle, in Family Therapy, Allyn and Bacon 1993
N.A. Cummings, Prolonged versus short term psychotherapy, Professional Psychology 8, 1977
N.A. Cummings, The general practice of psychotherapy, Professional Psychology 10, 1979
D.S. Becvar, R.J. Becvar, Family Therapy, Allyn and Bacon 1993
J.K. Zeig, S.G. Gilligan, Brief therapy, Brunner Mazel 1990
D.S. Everstine, L. Everstine, People in crisis, Brunner Mazel 1983
J.Haley, Problem solving therapy, Harper & Row 1978

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